RASSEGNA STAMPA
VISITA IN GERMANIA 13 MAGGIO - 17 MAGGIO 2013 - AUGSBURG
INCONTRO CON SCUOLE LICEI , SCUOLE PROFESSIONALI ,
SEMINARIO PER ADULTI E INCONTRI CON AUTORITA' GERSTHOFEN -
AUGSBURG E LANDREIS
PATRIA INDIPENDENTE GENNAIO 2013
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LA MEMORIA NON E' UN VIZIO Corriere Immigrazione
http://www.corriereimmigrazione.it/ci/2012/10/la-memoria-non-e-un-vizi/
Mettere piede per la prima volta a Monte Sole vuol dire
trovarsi circondati da cocuzzoli verdi immersi nella luce di un cielo azzurro e
sentire la pace della natura. Attorno alla stele che commemora le 800 vittime
innocenti del massacro nazifascista avvenuto fra il 29 settembre e il 5 ottobre
del 1944 si respirano silenzio e tranquillità. Una serenità così forte è
insolita per un luogo che è stato teatro di un bagno di sangue e di una violenza
inaudita. Non so se si può fare questo tipo di confronto con un altro crimine di
guerra, ma a me è tornato in mente il massacro di Sabra e Chatila e la
sensazione che ho provato visitando quel campo palestinese a Beirut nel 2009. A
Sabra e Chatila tutto, la terra, i muri delle case, il cielo gridano ancora
morte e vendetta, un’oscurità cupa avvolge un posto in cui non c’è mai stata
giustizia. Tutto questo è lontano da Monte Sole nel tempo e nello spazio. Ma io
ci ho pensato e voglio condividere questa riflessione con chi mi leggerà,
convinta che una sensazione sincera e profonda meriti il suo spazio. Fra quelle
cime sull’Appennino si sente la vita a ogni passo. È una continua rinascita.
L’altra cosa che ho pensato immediatamente, vedendomi passare accanto un signore
dalla pelle bruna e dai modi contadini, con il fazzoletto rosso attaccato al
collo, è stata la grande capacità di memoria della generazione che ci precede,
che ha saputo fino a oggi ricordare ciò che è stato. Ma la popolazione
invecchia, la vita va avanti inesorabile e se il testimone non passa ai giovani,
tutto questo potrebbe perdersi. Non so dire se noi giovani, abituati all’istante
e alla velocità, sapremo essere così bravi nel radicare gli eventi importanti
profondamente nella memoria collettiva.
A Marzabotto ho stretto la mano a uno degli ultimi superstiti del massacro.
In questo viaggio ho scoperto che nella strage che porta questo nome nessuno è
stato ucciso nel paese di Marzabotto. Le armate tedesche cinsero d’assedio il
Monte Sole che sovrasta Marzabotto e in una settimana uccisero donne, bambini,
intere famiglie e preti di campagna trovati nei piccoli borghi e nelle casette
delle frazioni montane. Ho imparato che i partigiani lottarono sì, ma si
nascosero anche. Che gli uomini si misero in salvo.
Ma davvero credevano che i tedeschi non avrebbero toccato le loro donne e i
loro figli? O, nel segreto del loro cuore, temevano ciò che poi sarebbe
successo? Certo non avrebbero potuto difenderli e impedirne la morte. Ma non
avrebbero forse dovuto morire in prima fila, loro davanti a tutti quei civili
inermi, trasformati dalla retorica delle propaganda in martiri e oppositori dei
tedeschi? Questo non lo dico per criticare la storia così come ci è stata
tramandata, ma perché ho capito che ancora non abbiamo trasformato quella
sofferenza profonda, non abbiamo fatto pace con il nostro passato. Con l’idea
della guerra in cui le prime vittime sono i più deboli, gli intrappolati del
Monte Sole.
A Monte Sole c’è una scuola di pace che fa incontrare israeliani e
palestinesi, italiani e tedeschi. E c’è un ragazzino biondo di 19 anni mandato
dall’Austria a fare il servizio civile in uno dei posti dove gli austriaci,
inquadrati nelle truppe di Hitler, hanno commesso atrocità. Lo guardi e pensi al
nostro processo di rimozione della memoria. Italiani brava gente che non sono
mai stati davvero cattivi come i tedeschi. Somalia, Eritrea, Etiopia, Grecia. In
questi Paesi c’è ancora qualcuno che ricorda cosa fecero i soldati italiani.
Avevo 25 anni nel 2005 e partecipavo a un corso di inglese a Londra. Alla fine
della lezione, una ragazza eritrea venne a dirmi che non mi sopportava perché
ero italiana. Per tutto quello che gli italiani avevano fatto al suo Paese. Non
mi conosceva. Per lei ero italiana e tanto bastava per odiarmi.
La scuola di Pace di Monte Sole ha fatto una scelta coraggiosa. Solo i
pionieri possono fare queste cose. Gli educatori, fortemente sostenuti
dall’associazione dei famigliari delle vittime di Monte Sole, hanno deciso di
rendere attuale il messaggio di Marzabotto. Di parlare di oggi perché non accada
più ciò che è successo ieri. Domenica 7 ottobre, per ricordare quella strage,
abbiamo parlato di altri ‘intrappolati’.
“La vita che non Cie” è il titolo di una trilogia di corti della regista
Alexandra D’Onofrio, invitata al dibattito dagli educatori della Scuola di Pace,
insieme alla campagna LasciateCIEntrare che ho avuto il compito di
rappresentare. Occasione unica in cui abbiamo camminato come equilibristi sul
filo sottile tra memoria, rimozione e propaganda. Con l’emozione di vedere
cambiare opinione nel giro di un’ora agli “affezionati” che da decenni sempre
tornano sul Monte Sole per ricordare il massacro. Persone comuni che non avevano
mai sentito parlare dei centri di identificazione e di espulsione. Che
all’inizio hanno avuto uno scompenso perché non trovavano il nesso fra le due
cose e che ora invece vorrebbero vedere importanti programmi televisivi
occuparsene. «Sono in gabbia da innocenti, dobbiamo uscire dall’idea che chi è
rinchiuso in un centro con le sbarre è per forza un criminale- ha detto
l’autrice del documentario – il mio intento era di raccontare le storie delle
persone, renderle vere e reali al di là dei numeri e delle cifre
sull’immigrazione».
Alle radici della violenza più cieca c’è sempre la disumanizzazione
dell’altro, l’idea che un essere umano sia “un po’ meno persona di noi”, abbia
meno diritti. «Lo scopo della Scuola di Pace è di fare una ricerca sull’origine
della violenza nazista a Monte Sole – ha spiegato Mattia Silingardi, educatore –
i nazisti erano belve oppure erano esseri umani come noi? Come hanno potuto
commettere una strage di questo tipo? Agli occhi dei soldati, le persone uccise
non erano esseri umani ma loschi bacilli. Siamo qui per indagare la costruzione
del nemico e dell’opposizione fra un “noi” e un “loro”». Una riflessione che
parte dal linguaggio delle autorità, dagli eufemismi. «Dove leggiamo
trattenimento dovremmo leggere detenzione; dove è scritto
espulsione stiamo parlando di deportazioni forzate – ha detto Silingardi –
la vita che non CIE è la vita negata di chi è rinchiuso nei centri, un
po’ come fu negata la vita degli uccisi nella strage». E quando i diritti
vengono sequestrati, questo avviene sempre sulla base di uno “stato di
eccezione”. È lo “stato di eccezione” che rese possibili i campi di
concentramento. In Italia esiste uno “stato di eccezione” che sospende i diritti
costituzionali per i migranti?
«Questa volta da Monte Sole deve partire un messaggio: noi italiani dopo la
guerra siamo emigrati per lavoro nei Paesi del Nord Europa, dove vivevamo nei
tuguri. Lo hanno fatto anche i sopravvissuti di Monte Sole questo viaggio. Come
abbiamo potuto dimenticarlo e vedere nei migranti qualcuno diverso da noi e da
respingere?» ha concluso Gianluca Luccarini, il presidente dell’Associazione dei
famigliari delle vittime della strage. Luccarini aveva un libro sotto braccio. Un
grosso volume con la copertina arancione di cui non ricordo il titolo. Dentro
testimonianze di quest’altro pezzo di storia, del dopo Marzabotto.
Finita la guerra, cosa abbiamo fatto? «In treno si mangiava quello che si
aveva dietro. Una cassettina avevamo, con dentro un pezzo di pane, un pezzo di
formaggio, una bottiglia e basta, due stracci, un paio di mutande. Chi aveva
della roba allora? Nessuno. Io avevo una cassetta che l’aveva fatta mio
fratello, che prima c’erano dentro dei proiettili della guerra . Con le assi
abbiamo fatto quella cassetta lì, che c’ha anche i manici! Chi aveva una
valigia? Mai vista una valigia prima». Arrivati in Belgio furono alloggiati in
baracche, dove i tedeschi avevano rinchiuso i loro prigionieri, durante
l’occupazione del Belgio e dove essi stessi vennero rinchiusi dopo la loro
sconfitta.
In questo momento ci sono migliaia di uomini e centinaia di donne in gabbia
in Italia per quello che sono: migranti. Per il colore della loro pelle, non per
qualcosa che hanno fatto. “Lasciamoliuscire”, “chiudiamo i Cie” è il messaggio
che parte da Monte Sole. In tempo di “pace”, non serve nascondersi sulla
montagna e le armi per combattere sono quelle della partecipazione. Scendiamo in
prima fila e a viso aperto per dire “non nel mio nome, non in nome del popolo
italiano”. Una generazione di anziani e pensionati che ha conosciuto la guerra e
la fame non può che essere dalla nostra parte.
Raffaella Cosentino
UNITA' 26 FEBBRAIO 2012 - visita MARTIN SCHULZ A MARZABOTTO 25 FEBBRAIO 2012
FRANCO GIUSTOLISI manifesto 4 febbraio 2012
la Stampa 4 febbraio 2012
la stampa 4 febbraio 2012
IL resto del carlino 4 febbraio 2012 - cronaca
INFORMAZIONE 3 APRILE 2011
L'UNITA 3 APRILE 2011
L'UNITA' 31 MARZO 2011
La stampa 12 dicembre 2010
UNITA' 1 OTTOBRE 2010 L'UOMO CHE VERRA'
Unita' 13 agosto 2010 SANT'ANNA DI STAZZEMA commemorazione
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18:45 21 LUG 2010 new
(AGI) - Berlino, 21 lug. - La vicenda dei
risarcimenti tedeschi alle famiglie delle vittime delle stragi naziste resta
aperta. La Corte internazionale di Giustizia de L'Aja ha dichiarato
"inammissibile" la richiesta italiana di indennizzi da parte della Germania per
i massacri commessi il 29 giugno 1944 a Civitella, Cornia e San Pancrazio, nei
pressi di Arezzo. La decisione dei giudici e' stata presa con una schiacciante
maggioranza di 13 voti contro uno in favore delle posizioni sostenute dal
governo tedesco, che rifiuta ogni indennizzo a carattere individuale per le
vittime delle rappresaglie naziste in Italia. La Corte internazionale di
Giustizia ha riconosciuto che la Germania, in base ad un accordo bilaterale del
giugno 1961, aveva gia' versato al governo italiano dell'epoca riparazioni per
un ammontare complessivo di 40 milioni di marchi, circa 20 milioni di euro. Con
quel risarcimento venivano chiuse tutte le pendenze della Germania, come Stato
successore del Terzo Reich, nei riguardi delle stragi compiute in Italia dai
soldati tedeschi nel corso della Seconda Guerra Mondiale. Sulla base di questo
accordo la Germania si e' sempre rifiutata di accogliere le successive richieste
individuali di risarcimento, come quelle presentate da due familiari delle 203
vittime uccise dai militari tedeschi nei villaggi situati nei pressi di
Arezzo.
Dopo questa sentenza emessa dai giudici dell'Aja, l'Italia ha
adesso 14 giorni di tempo per presentare appello.
Nel 2008 la Corte di
Cassazione aveva condannato la Germania al pagamento di un milione di euro ai
parenti delle vittime dei massacri compiuti dalla Wehrmacht a Civitella e negli
altri villaggi vicini. Il governo tedesco aveva fatto appello contro la
sentenza, ma l'Italia aveva proceduto al sequestro cautelativo dei proventi
della vendita dei biglietti della Deutsche Bahn, le ferrovie tedesche, sulle
tratte italiane, e avviato la confisca di "villa Vigoni", su lago di Como,
proprieta' dello Stato tedesco.
La faccenda, pero', non e' chiusa. La
richiesta italiana era in realta' un contro-ricorso presentato da Roma
alla citazione in giudizio proposta da Berlino dopo che lo Stato
italiano aveva avviato il procedimento di sequestro di "Villa
Vigoni",proprieta' tedesca sul lago di Como. "Resta in piedi il ricorso
tedesco -spiega l'avvocato Roberto Alboni, legale di una delle famiglie
che hanno chiesto il risarcimento e nipote egli stesso di una delle
vittime della strage di Civitella- che potrebbe anch'esso essere
dichiarato irricevibile". La Corte, infatti, ha giurisdizione solo per
i fatti accaduti dopo il 1961, anno della sua istituzione. "Se si
arrivasse all'accoglimento del ricorso tedesco", ha aggiunto,
"l'Italia si troverebbe a non poter applicare una sentenza emessa dalla
Cassazione". .
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In Parlamento giace un disegno di legge presentato nel giugno 2009 riguardante
le misure di equa riparazione a favore delle vittime delle stragi nazifasciste
La Corte internazionale di giustizia dell'Aja ha respinto il ricorso
presentato dall'Italia che chiedeva alla Germania indennizzi alle vittime
italiane dei crimini compiuti dai nazisti durante la seconda guerra mondiale. Il
ricorso è stato respinto con 13 voti su 14. Per i giudici internazionali la
richiesta italiana ‘è irricevibile'. A questa sentenza l'Italia potrà fare
appello entro il 14 gennaio prossimo. La Germania di fatto, ha ottenuto un
grosso successo in quanto si era rivolta alla Corte ONU nel 2008 dopo che una
sentenza della Corte di Cassazione italiana, nello stesso anno, aveva
riconosciuto ai familiari di alcune vittime il diritto a ottenere indennizzi
individuali da parte della Germania. In particolare ai familiari di alcune
vittime di una strage compiuta il 29 giugno 1944 quando 203 civili vennero
massacrati dai soldati dell'esercito del Terzo Reich, a Civitella in Val di
Chiana, Cornia e San Pancrazio, in Toscana. L’Alta corte italiana aveva
quantificato l’indennizzo a circa 800mila euro. La cancelleria tedesca sulla
base di un accordo del 1961, ha versato all'Italia un risarcimento per i danni
di guerra una tantum pari a 40 milioni di vecchi marchi. Dopo di che ha negato
ogni ulteriori indennizzo. Il successo acquisito ha una valenza particolare in
quanto stoppa una possibile ‘corsa’ all’indennizzo se la sentenza, emessa da una
corte internazionale, fosse stata sfavorevole. Commentando le determinazioni
della Corte Internazionale l'avvocato Roberto Alboni, che per conto di un gruppo
di familiari della strage di Civitella aveva richiesto l’indennizzo alla
Germania, ha affermato: “Non è stato un successo della Germania, ma solo un
passaggio tecnico che nulla cambia sul fronte degli indennizzi”.
“In sostanza è
solo un pronunciamento giurisdizionale. L'Aja ha dichiarato ‘irricevibile’ il
ricorso dell'Italia verso la Germania, ma non si è pronunciata nel merito”, ha
spiegato Alboni che ha concluso sottolineando come. “che sia la Germania o che
sia l'Italia, alla fine di questa vicenda qualcuno pagherà e dovrà risarcire le
famiglie delle vittime”. Il riferimento è al dibattito in corso, fuori del
Parlamento per ora, dove è in discussione un disegno di legge presentato alla
Camera nel giugno 2009 riguardante le misure di equa riparazione a favore delle
vittime delle stragi nazifasciste. Un progetto di legge non ancora
calendarizzato e di cui è il primo firmatario il deputato del Pd, Gianluca
Benamati. Presentando il disegno di legge Benamati a suo tempo aveva
sottolineato che: “esso si propone di superare il grave ritardo scontato dalle
inchieste, che nel passato ha pregiudicato l'esito delle indagini con evidenti
difficoltà nell'accertamento delle responsabilità”. Il disegno di legge dispone
anche l'istituzione di un fondo a favore della conservazione della memoria
storica di quegli eventi con attività di ricerca storica, azioni di supporto
alla manutenzione e custodia di opere dedicate alla memoria delle stragi e
diffusione della conoscenza storica nelle scuole. In virtù di questo il vice
presidente del Senato, Vannino Chiti, sempre del Pd, ha proposto l’istituzione
di un museo per ricordare le stragi nazifasciste in Italia. Chiti ha anche
individuato un possibile luogo in cui costituirlo: l'Altare della Patria a Roma.
Sono 695 le stragi compiute dai nazifascismi documentate negli archivi militari
della Procura generale militare di Roma e rinvenute nel 1994. Episodi che hanno
segnato la storia moderna dell’Italia: dalle fucilazioni indiscriminate alle
rappresaglie ed eccidi perpetrati in tutto il territorio nazionale, specialmente
in Toscana ed in Emilia Romagna. Sono nomi tristemente noti quelli dove tra il
marzo e il settembre del 1944, a Marzabotto, Sant'Anna di Stazzema, Civitella
Val di Chiana, Vallucciole, San Godenzo, Monchio, Cervarolo, Tavolicci furono
trucidati oltre 2.500 inermi civili, donne, vecchi e bambini.
Ferdinando
Pelliccia
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Resto del Carlino 10 luglio 2010
Resto del Carlino 7 luglio 2010
L'Unità Martedi 22 giugno 2010
L'Unità domenica 20 giugno 2010