- Email: info@eccidiomarzabotto.com
- Telefono: Parco Monte Sole, +39 051 931592
1944 DAL BUIO, LA LUCE
ANNA ROSA NANNETTI
DOWNLOAD 1944 DAL BUIO LA LUCE
- Può essere richiesto anche via email all'indirizzo della Associazione info@eccidiomarzabotto.com
Introduzione
In questo libro sono state
raccolte le testimonianze di alcune persone sopravvissute alla strage del ’44
nei Comuni di Grizzana, Marzabotto, Monzuno e di tutti i Comuni limitrofi.
Una prima parte è stata
pubblicata nel 2008 nel libro “I Bambini del ‘44” e si continuerà a raccogliere
testimonianze tra i sopravvissuti e
familiari.
Questo libro raccoglie:
- Testimonianze de “I bambini dell’44”.
- Testimonianze di adulti
sopravvissuti.
- Contributi di Familiari e
Amici dei sopravvissuti
- Contributi scientifici.
- Documentazione relativa a
tutto ciò che raccontano i testimoni: gli aiuti ricevuti dalla Svizzera,
l’accoglienza nel più importante Centro Profughi di Firenze, per alcuni una
sede definitiva, per altri una sede momentanea in attesa di raggiungere altri
Centri Profughi, i luoghi dove si selezionavano gli uomini per la deportazione
in Germania e i luoghi destinati ai lavori forzati.
- Monte Sole oggi. Ci sono
pagine dedicate alle persone che hanno collaborato e collaborano ogni giorno
per tenere viva la memoria, con il loro sostegno morale e materiale, con lo
studio, con la preghiera, con l’accoglienza quotidiana verso ogni persona che
desidera visitare i luoghi degli eccidi, ascoltare la storia degli avvenimenti,
approfondirla e che ci invita a parlare nelle scuole, nelle varie Istituzioni
dei loro paesi e delle loro città.
- Visita ai luoghi della
strage. Riflessioni di bambini.
- Il giorno della memoria. Shlomo
Venezia ed Elena Bono.
Per i Testimoni
grazie
per avermi accolta nelle vostre case con tanto affetto e con una premura che ha
permesso di conoscerci molto di più di quanto si leggerà nelle vostre
testimonianze. È stato bello rivedere amici, parenti, compaesani e ricordare
con loro tante emozioni, tanti avvenimenti. Per tutti noi che non ci
conoscevamo, però, ciò che abbiamo vissuto è stata un’esperienza più profonda,
UNICA.
In quei giorni, mesi e anni terribili tutti noi, pur vivendo in paesi,
borghi, casolari distanti l’uno dall’altro, eravamo uniti nel dolore, nella
disperazione, nella difesa della nostra dignità calpestata e offesa ogni
momento.
Non ci conoscevamo ma, insieme,
ci aiutavamo a salvare le nostre vite, particolarmente quelle dei più deboli, a
lottare perché le nostre famiglie, le nostre Comunità non fossero cancellate
dalla nostra terra, così come era stato deciso da”un piano di sterminio”
criminale.
Ci facevamo le stesse domande, ci consolavamo con l’aiuto delle persone
buone che avevamo vicino a noi e che ci parlavano, ci accarezzavano con parole
e gesti che scaturivano da una ricercatezza umana altissima.
Quando ci siamo ritrovati, dopo tanti anni, in poche ore e in pochi
giorni abbiamo parlato di noi, senza difese. Ci siamo parlati con le lacrime,
con i silenzi, con il racconto delle nostre storie, con i sorrisi e, a volte,
anche divertendoci nel ricordare qualche nostra ingenuità o la nostra
meraviglia di fronte alla scoperta di cose belle e inaspettate.
Insieme abbiamo parlato dei nostri familiari martiri e attraverso le
nostre confidenze, abbiamo approfondito la loro conoscenza. Quante persone erano state da loro amate e
quante persone li avevano amati. Quanto amore avevano saputo regalare, e quanto
amore avevano ricevuto.
Tutto questo amore che ci
aveva nutrito silenziosamente, lo abbiamo riscoperto e rivissuto con
consapevolezza in quegli incontri, nelle vostre case. Oggi sappiamo con
certezza dove nasce quella forza che ci ha sostenuto nel ricominciare a vivere
una nuova vita, capendone tutto il suo valore.
La
nostra è una storia di dolore e amore
All’amore dei nostri Cari barbaramente uccisi, uniamo l’amore dei
nostri Cari sopravvissuti, quei giganti
che hanno saputo regalare a noi, particolarmente ai più piccoli e ai più
deboli, quella eredità d’amore di chi non è più fisicamente vicino a noi,
arricchendola, ogni giorno, con una donazione totale di se stessi.
Tutti noi testimoni abbiamo impressa nel cuore, nella mente e nella carne,
quella richiesta dei nostri Cari, che sono morti, gridando GIUSTIZIA.
Quando, dopo sessantadue anni è stato possibile entrare in un Tribunale
per parlare di Giustizia ricostruendo
Noi non siamo soltanto dei
testimoni, siamo soprattutto la testimonianza delle loro vite.
La richiesta di Giustizia dei
nostri Cari l’abbiamo raccolta dal primo giorno e l’abbiamo incarnata come
impegno quotidiano in ogni nostra relazione umana, affettiva e lavorativa, sia
nelle nostre famiglie, sia nella società: viviamo con LORO sempre.
Tutto questo emerge dalle testimonianze. La nostra volontà di
incontrarci e conoscerci tra testimoni, aprendo i nostri cuori, oggi ci
permette di sentirci più uniti, più forti: il nostro esempio è stato un aiuto
per molti sopravvissuti che, dopo tanto silenzio, ora desiderano far sentire la
loro voce. Conserviamo il dono della MEMORIA, facendo vivere in noi, nelle
nostre storie, la testimonianza di chi non c’è più.
Per i Lettori
Care amiche, cari amici,
grazie per averci voluto conoscere. Dopo aver parlato e approfondito con
noi ciò che abbiamo vissuto durante e dopo gli eccidi, molti di voi hanno
sentito l’urgenza di acquistare i nostri libri per poter rileggere in silenzio
e solitudine le nostre testimonianze, riflettendo e meditando su di esse.
Il vostro desiderio profondo di “capire” la strage da noi subita, da un
punto di vista storico, umano e intimo ci ha fatto sentire tutta la vostra
considerazione, il vostro rispetto e la vostra stima per come siamo riusciti ad
affrontare quel “male” che ci voleva vedere annientati, ma non c’è riuscito. Anche
se le nostre vite sono segnate per sempre da dolori profondi, i volti, le mani
di tante persone buone hanno scavato in noi dei solchi di luce che ci hanno
guidato nel momento di buio più oscuro e ci hanno aperto tante strade luminose
che abbiamo percorso, con la ferma volontà di trasformare la lotta quotidiana
per la sopravvivenza in una graduale conquista della nostra rinascita. E’ stato
un cammino faticoso, ma sostenuto da tanta solidarietà.
Voi siete con noi dentro questa luce, perché leggendo le nostre testimonianze
vi siete commossi, qualcuno ci ha detto che ha pianto, avete riflettuto sugli
orrori della guerra totale, sulle responsabilità di coloro che l’hanno voluta e
di quanti sono stati conniventi, consapevoli e
inconsapevoli.
In quei giorni noi eravamo deboli, impreparati, non avevamo le stesse
armi e abbiamo perso.
Oggi, però, possiamo dire che abbiamo vinto perché ci siamo impegnati,
ognuno con i propri talenti, ad attuare ciò che abbiamo compreso attraverso
l’esperienza del dolore.
Abbiamo capito che ognuno di noi deve difendere la pace impegnandosi,
ogni giorno e tutti insieme, a combattere sopraffazioni, ingiustizie, povertà
morali, culturali ed economiche.
Abbiamo capito che dobbiamo essere protagonisti nelle nostre scelte e
saper distinguere, con lucidità e
competenza tra i governanti che vogliono “il bene” comune e tra chi ha sete di potere fino all’estremo
disprezzo di ogni vita.
Abbiamo capito
che tutto ciò che si è costruito sul "male" da parte di
persone, Istituzioni e organizzazioni noi dobbiamo impegnarci a conoscerlo profondamente,
per saperci difendere e combatterlo.
I nostri familiari, giganti di Umanità, sono stati degli autentici
COSTRUTTORI DI PACE.
Hanno saputo trasformare il loro dolore in amore, difendendo i più
deboli, ricostruendo le loro famiglie, le loro case e le loro Comunità.
Questa è stata la loro e la nostra vittoria sulla guerra.
TESTIMONIANZE dei Familiari una fra le tante:
Franco Leoni Lautizi
di anni 5 e 7 mesi
Avevo cinque anni e sette mesi,
quel 29 Settembre del 1944, abitavo a Ca' del Piede a pochi chilometri da
Marzabotto, nella parrocchia di San Martino. I miei genitori, i nonni, gli zii,
tutta una famiglia di contadini lavoravano dall'alba al tramonto per avere il
minimo indispensabile dalla terra.
Eravamo da alcuni giorni riparati
dal pericolo delle bombe in un rifugio scavato nel tufo, in un fosso scendendo
da Ca' del Piede verso Rivabella. Era una giornata di pioggia fine e
fastidiosa, nel rifugio con noi c'erano altre famiglie dei dintorni e qualche
sfollato dalla città; praticamente si mangiava e si dormiva in quel luogo per
paura delle bombe e dei tedeschi.
Mia madre Sassi Maria Martina era
incinta ed era arrivata alle doglie, decise con la nonna Amalia Bondioli, di
uscire dal rifugio per andare a casa, per avere un ambiente adatto al parto ed
io mi aggregai a loro. Arrivati a casa, ci siamo resi conto che la stalla era
quasi completamente bruciata e la casa cominciava a prendere fuoco e la paura
dell'arrivo dei tedeschi era tanta, che la Mamma e mia Nonna decisero di
prendere l'indispensabile e tornare al rifugio.
Mentre scendevamo lungo la strada
sterrata, una pattuglia di SS, sul sentiero del promontorio di Ca' di Dorino,
ci prese a mitragliare. Cercammo di rifugiarci nel fosso attiguo alla strada,
ma in quel punto non eravamo riparati e vedendo un pagliaio nei pressi,
raggiungerlo ci sembrò l'unica soluzione di salvezza. La nonna Amelia cadde
prima di arrivarci, colpita alla testa, io e mia madre riuscimmo nel tentativo,
ma mia madre fu colpita all'addome ed io alla schiena e all'anca: non percepivo
dolore, ma solo una sensazione di grande calore in tutto il corpo. Mia madre
urlava tenendosi il ventre, il dolore delle doglie e della ferita doveva essere
atroce, sino a quando dopo un tempo quasi interminabile è spirata. Mi sono
rannicchiato accanto a lei fino quando a sera con il buio, sono venuti a
prendermi le persone dal rifugio, mi hanno adagiato in una coperta aspettando
che anch’io me ne andassi e nell'inconscio del momento percepivo la voce di mio
padre Armando, che disperato, mentre piangeva, diceva che non gli importava più
niente della vita. Infatti, il giorno dopo lo presero le SS e lo fucilarono.
Dopo un anno ritrovammo in un fosso il suo corpo insieme a quello di un amico.
Arrivarono il giorno dopo le SS, che
ci deportarono verso San Martino e nell'attraversare i luoghi che conoscevo,
vidi tutto l'orrore della guerra, bambini, donne e morti nei fossi e cose che
mi vengono difficili descrivere.
Quando riuscimmo ad attraversare
il fronte dopo varie traversie, mi portarono a farmi curare dagli Alleati a San
Benedetto Val di Sambro. Se la guerra è stata orrenda, per un orfano di
entrambi i genitori, il dopo è stata una tragedia; fame, botte e orfanatrofio,
dove non sempre le suore sono figlie di Maria, specialmente quando non hai più
nessuno a proteggerti.
La pallottola presa nell'anca in
diagonale, poi entrata nella pancia e precisamente nella vescica, per anni mi
ha torturato dal male, perché nessuno si era mai posto il problema di pensare
che una pallottola in entrata, deve avere anche un buco di uscita, altrimenti è
ovvio che si trovi nel corpo. Per sopravvivere ho dovuto crescere e diventare
adulto, ancora da bambino.
Passato il fronte, in primavera,
siamo rientrati a
In orfanotrofio ho passato cinque
anni, dove più volte mi sono ritrovato ad invocare mia madre, perché mi
portasse con lei. Ero tanto depresso che invocavo solo la morte.
Ogni domenica di visita dei
parenti, mi ritrovavo appoggiato al cancello dalle nove del mattino alle cinque
di sera a guardare il fondo della strada, per vedere se c‘era ancora qualcuno
per me, ma sempre inutilmente, mi sarebbe bastato un volto conosciuto o una
caramella per fare festa.
Finito le elementari e dopo avere
fatto l’esame di ammissione alle medie, mi si è presentata una signora anziana
(56 anni) Lautizi Pellegrina, piccola di statura, molto raffinata e molto dolce
anche nel parlare, mi ha chiesto se ero disposto ad andare a vivere con Lei. La
mia risposta è stata: ”C’è la possibilità
di mangiare?” (tanta era la preoccupazione arretrata di cibo che avevo
nutrito fino ad allora). La sua risposta fu:
”Tanto più di quanto ne puoi mangiare”.
Mi ha portato a casa sua in
provincia di Ascoli Piceno. Era una signora nubile, benestante con casa e
poderi, avevo tutto quello che neanche nel mio immaginario avevo mai sognato:
ero passato da un girone infernale ad un paradiso immenso, ma il destino
avverso era di nuovo in agguato. Un male incurabile me l‘ha portata via nel
breve tempo di un anno, ha fatto in tempo a farmi operare ed estrarre la
pallottola che da anni mi tormentava nella vescica e la cosa più importante a
dare il suo cognome sia a me che a mio fratellino più piccolo, Pietro, con una
regolare adozione. Quando ho capito, tramite il medico, che non aveva
alternative di allungare la vita, ho cercato di ripagare il suo amore ed il
affetto standole sempre vicino e chiamandola mamma. Con questa unica parola,
per lei tanto importante, è deceduta serena.
A dodici anni ero di nuovo
orfano.
Ho dovuto dire addio troppo
presto ai miei genitori, una parte di me se n’è andata con loro, la loro
scomparsa ha lasciato un vuoto incolmabile dentro di me. Voglio credere che da
dove sono mi stiano guardando, mi stiano regalando un sorriso. Saranno sempre
nel mio cuore.
CIAO MARTINA, CIAO ARMANDO se il
vostro sacrificio è servito per avere un mondo migliore sono fiero di essere
vostro figlio.
Sono Claudia Girelli e frequento la 1° media a Rimini.
Sono stata con la nonna e
la mamma a vedere il film”L’uomo che verrà” e non riesco a credere e a rendermi
conto che fatti del genere siano realmente accaduti, anche se ho conosciuto la
storia del nostro amico Franco e i miei nonni mi hanno parlato di ciò che loro
hanno vissuto, durante la seconda guerra mondiale.
La nonna ricorda i
rastrellamenti, di notte. Lei aveva dodici anni, stava dormendo sul divano,
entrarono di forza i tedeschi nella sala, le toccarono le trecce, poi la
ricoprirono, dicendo: ”No partisan”. Lei ha visto sulle colline romagnole
bruciare le case, uccidere. Secondo la nonna, nel film, la vicenda è narrata in
modo realistico, era proprio così, anche sull’Appennino romagnolo.
Purtroppo Franco è stato
protagonista di una vicenda tragica.
Il fratellino di Franco
non è stato salvato, la protagonista Martina, invece, riesce a salvare il suo
fratellino, gli canta una NINNA NANNA, tenendolo in braccio, mentre dondola
un’altalena.
Io sono rimasta stupita a
sentirla parlare per la prima volta.
Era bella mia madre, aveva appena
23 anni, quel 29 settembre.
Il suo viso era dolce e sereno, era bella
mia madre.
Mi teneva per mano, lungo la stradina che
scendeva verso il rifugio,
si lamentava perché a breve tempo si
apprestava a dare alla luce un'altra vita, confortata dalla nonna che a sua
volta la sosteneva.
Era bella anche nel dolore delle doglie.
Il crepitio dei colpi di mitraglia, ci
lasciò sgomenti; colpita al ventre si accorse
di perdere tutto in un attimo: le sue mani sporche del mio sangue, lo
sguardo perso negli occhi sbarrati della nonna, si teneva il ventre, cercando
di avvolgermi al suo corpo per ripararmi dal
piombo, come una chioccia protegge il pulcino sotto le ali.
I suoi urli di disperazione e di dolore
erano quasi inumani, ma
anche in quei momenti aveva una carezza
per me.
Era tanto dolce mia madre.
Se c'è qualcuno in cielo non può ignorare
ciò che è sulla terra.
Era una ragazzina mia madre.
Un incubo che mi perseguita nella vita, ma
nello stesso rivedo il sorriso dolce di mia madre.
Era veramente bella mia madre.
Franco
Leoni